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venerdì 10 dicembre 2010

LUI PERSONA: IL MALATO DI ALZHEIMER

LUI PERSONA:


IL MALATO DI ALZHEIMER!





PREFAZIONE



A 100 anni dalla scoperta della malattia di Alzheimer, oggi siamo in grado di affermare che questa patologia rappresenta un fenomeno dalle dimensioni drammatiche.

Nonostante il numero delle persone colpite dalla malattia sia in costante crescita, ancor oggi questo tipo di demenza non riceve l’attenzione adeguata e il riconoscimento che dovrebbe meritare, ed è tuttora circondata da disinformazione e pregiudizi che creano ostacoli enormi verso un miglioramento generale della qualità ella vita del malato.

Oggi sono circa 24 milioni le persone che, insieme alle loro famiglie, sono rimaste vittima della demenza di Alzheimer.

Lo scenario attorno alla malattia sta rapidamente cambiando; le esperienze che si vivono ogni giorno con i malati e con i loro familiari, costituiscono un patrimonio prezioso che non può e non deve andare perduto.

Se le cose oggi vanno meglio rispetto a quindici anni addietro, il merito va, certamente alla ricerca, ma in gran parte anche agli operatori che vivendo a stretto contatto con questi malati, sono in grado di accrescere quotidianamente le loro esperienze in tal senso, e parallelamente, alle testimonianze dei familiari che offrono quotidianamente l’opportunità di imparare a lavorare sempre meglio con i malati… con i loro racconti danno, giorno dopo giorno, la dimensione reale della drammatica problematica che vivono con i loro cari.

Il malato di Alzheimer è una persona il cui passato è oscuro e il futuro lo è ancor più…







LUI PERSONA: IL MALATO DI ALZHEIMER!





Il tentativo di questo scritto è aprire una piccola finestra di luce nell’atroce silenzio dell’Alzheimer. Impariamo a stare accanto ad una persona il cui passato si allontana e si oscura sempre più e il cui futuro sarà senza ricordi.

Era una grigia mattina di febbraio dell’anno 2004.

Era un bell’uomo, alto, brizzolato, la carnagione abbronzata, il fisico asciutto e snello di chi si presuppone abbia fatto molto sport e i sia tenuto in buona salute. Età approssimativa 56 anni. Gli occhi di un azzurro male pulito e trasparente.

Ricordo di essermi meravigliata davanti a quella figura che non lasciava proprio immaginare di poter essere malata.

- prego?-

- buongiorno, mi chiamo Sergio Rossi (nome convenzionale), sono qui per una visita; il mio medico curante mi ha suggerito di fare una serie di accertamenti, da qualche tempo ho dei problemi alla vista, faccio fatica a focalizzare gli oggetti e le immagini e ho qualche difficoltà a leggere il giornale-

- ha già fatto una visita oculistica?-

- si, ma l’oculista mi ha detto che non mi può aiutare perché pensa si tratti di qualcosa che non riguarda le sue competenze… forse a livello neurologico…

Cominciamo con un colloquio clinico, cerco di approfondire, non noto nulla di particolare se non una lieve forma di apprensione in relazione al suo disagio.

Passiamo ai test. Al termine della somministrazione della batteria testologica, non si evince alcun deficit tranne una lieve difficoltà nell’area visuospaziale…i pentagoni che Sergio Rossi ha copiato erano un po’ tremolanti… nient’altro.

- le capita di dimenticare qualcosa?

- Forse qualche volta, ma come credo a chiunque, niente di particolare-

Bene, passiamo alla visita neurologica. Il neurologo procede con la visita al termine della quale, richiede, com’è consuetudine per una valutazione quanto più precisa possibile, una serie di esami strumentali: RMN, SPECT, ecc… .

Dopo qualche giorno Sergio Rossi torna in ambulatorio. La diagnosi è impietosa, non lascia dubbi: si tratta di Alzheimer!

Alzheimer è un termine che fa paura, che incute terrore!

La malattia di Alzheimer è una patologia neurologica degenerativa che causa un deterioramento generale delle condizioni psico-organiche di chi ne è affetto. La problematica che investe tali malati all’interno delle loro famiglie, assume un significato del tutto singolare e di non facile gestione, in special modo per chi si occupa direttamente del familiare malato.

La particolarità di questa malattia è data dalla “drammatica bizzarria”, se così si può dire, che ne caratterizza il quadro clinico. Mi riferisco in particolar modo agli aspetti emotivi e ai meccanismi psicologici che scattano, e nel malato, e all’interno dell’intero nucleo familiare.

All’inizio i sintomi possono essere così lievi da passare inosservati sia all’interessato, sia ai familiari e agli amici; con il progredire della malattia però la sintomatologia diventa sempre più evidente fino ad interferire totalmente con le normali attività della vita quotidiana e con le relazioni sociali. Nella fase terminale il malato diventa assolutamente dipendente da altri, incapace di gestirsi anche a livello di bisogni primari.

Il quadro clinico comporta inizialmente qualche difficoltà di memoria e la perdita graduale delle capacità intellettive; il lento deterioramento delle capacità funzionali dell’individuo comporta un sempre più grave deficit dell’attenzione, della concentrazione, del linguaggio, del pensiero, della dimensione spazio-temporale, della logica; spesso intervengono anche cambiamenti di umore e crisi depressive. Tutto questo si ripercuote inevitabilmente sul comportamento, rendendo il malato sempre meno autonomo, fino al decesso. Il peggioramento della malattia conduce ad un graduale deterioramento del sistema immunitario, accrescendo pertanto il rischio di infezioni, soprattutto alla gola e ai polmoni.

LE CAUSE

Non esistono ancora prove certe circa le cause scatenanti la malattia. E’ certo in ogni caso che tale patologia non è ereditaria, dunque non è da ricercarsi nel proprio patrimonio genetico; è verosimile però che siano un insieme di fattori concatenanti a determinarne lo sviluppo: l’età, problemi cardiovascolari, elevato tasso di colesterolo, consumo di alcool e nicotina, problemi depressivi, trauma cranici pregressi. E’ nota l’esistenza di un gene, che si trova nel cromosoma 19, responsabile di una proteina (l’alipoproteina E-APOE), che rende più probabile il verificarsi della malattia. E’ possibile, tramite test di laboratorio, verificare la presenza di tale gene, ma l’esito ci indica solo un rischio maggiore, non la certezza dello sviluppo della malattia. Non esiste dunque allo stato attuale un esame specifico per determinare se una persona è affetta o meno da morbo di Alzheimer. Si può arrivare alla formulazione di “probabile Alzheimer” solo dopo un’accurata visita neurologica, una parallela valutazione mediante una batteria di test neurodiagnostici specifici e adeguati esami strumentali. Ad oggi non esiste ancora alcun farmaco in grado di prevenire né guarire dalla malattia: I farmaci più recenti mirano solo ad alleviare alcuni sintomi che rientrano nel quadro della patologia: l’insonnia, l’ansia, la depressione, le allucinazioni, la confusione… e a rallentare la loro progressione.

Sappiamo che uno dei sintomi più comuni e più evidenti della malattia è la progressiva perdita della memoria. E’ opportuno riflettere su quanto accade a livello emotivo e all’interno della coscienza di chi perde la memoria. Chi non ha memoria è un essere povero, senza passato nè futuro, senza la possibilità di gestire emozioni e sentimenti, senza la possibilità di una prospettiva, dimentico degli antichi legami, incapace di crearne di nuovi. La memoria porta con sé dolore, peso e fatica, ma è anche speranza, possibilità di programmare una vita futura.

Quando il malato di Alzheimer perde la memoria, ricerca disperatamente, in modo più o meno cosciente, disordinato, confuso e contraddittorio, un contatto con la sua storia, per rivivere e sentirsi vivo. Le sue relazioni affettive, sociali e familiari, si sconvolgono attorno a lui e finiscono inevitabilmente con il deteriorarsi.

Con il progredire della malattia si assiste nel malato ad un aumento delle difficoltà ad apprendere e dunque a ritenere nuove informazioni; così capita di frequente che il soggetto inizia a vivere nel passato e può cominciare anche a parlare con parenti deceduti molti anni prima.



Dopo poco più di due anni da quella triste grigia mattina di febbraio, quella persona che aveva “qualche problema alla vista” e qualche lieve amnesia “come capita un po’ a tutti” non era più la stessa, non era riconoscibile, si faceva fatica a collegarla a quella bella figura di persona apparentemente sana, non riusciva più a deambulare da solo, non riconosceva più moglie e figli, diventava sempre più incontinente, non era più capace di alimentarsi autonomamente… veniva ancora di tanto in ambulatorio, accompagnato a fatica dai familiari, ma non mi riconosceva più, non ricordava più quando veniva due volte la settimana nel mio studio e mi diceva: “mi aiuti la prego, non capisco cosa mi stia succedendo, sono confuso, mi viene da piangere, non ricordo cosa ho fatto ieri sera, dimentico i nomi dei miei nipotini che vedo tutti i giorni… ho la sensazione che qualcuno mi abbia rubato la vita, i miei pensieri non sono più miei, le mie giornate sono diventate faticosissime, nel tentativo di non perdermi per strada, di non alzarmi la notte pensando che è mattina, nel tentativo di riuscire a centrare prima la stanza da bagno e poi il water per fare la pipì… mi sento perso… mi sfugge il senso di quello che gli altri dicono attorno a me, ho l’impressione che parlino di me e che mi prendano in giro, perché sono diventato… un rincoglionito.”

Non ricorda più la fatica che abbiamo fatto insieme per cercare di mantenere fino alla fine quel poco che c’era ancora in vita…sempre meno… sempre meno… alla fine ha abbandonato tutto! L’Alzheimer si è impossessato di lui fagocitandolo. L’Alzheimer è un killer! È un killer che uccide i pensieri, li frantuma, e uccide anche tante e tante altre cose… una sola cosa sopravvive fino alla fine… l’anima!

Negli anni in cui ogni giorno ho lavorato accanto a questo tipo di malati, ho imparato a conoscerli in tutte le loro sfaccettature, in tutte le sfumature della loro personalità, in tutti i loro tratti caratteriali… ho imparato non solo a riconoscere le caratteristiche della malattia killer, ho imparato ad amare le persone che sono… la malattia di Alzheimer è una, le persone malate sono tante, ognuna diversa dalle altre.

Ho cominciato nel tempo a chiedermi non solo cosa fare e cosa dire al malato, ma che cosa dice e che cosa chiede la persona affetta da Alzheimer. Dietro questa malattia balorda cosa c’è? Dietro quello sguardo perso, dietro quelle parole sconnesse, contraddittorie, dietro quei comportamenti bizzarri, a volte anche aggressivi, beffardi, dietro quelle bugie e quelle svanitaggini… c’è una persona…una persona che ci vuole dire qualcosa ma che non riesce a codificare il suo linguaggio, le sue emozioni, i suoi ricordi… non riesce a capire cosa dice chi gli sta accanto.

Sostanzialmente il malato di Alzheimer, attraverso le sue “balordaggini”, ci dice: sono una persona malata, prendetevi cura di me!

Se non impariamo ad ascoltare la voce di questa persona malata, non la riconosceremo né impareremo a conoscerla, non riusciremo a capire nulla, non riusciremo a comprendere chi era prima della malattia, non riusciremo a capire chi è durante la malattia.

Bisogna imparare a conoscere il malato a ritroso, collocarlo nella sua storia, bisogna raggiungere le sue emozioni, i suoi ricordi, i sentimenti che da qualche parte frammentariamente conserva.

Bisogna arrivare a toccare il suo nucleo disgregato, la sua essenza di persona. La malattia di Alzheimer è una brutta bestia, ruba la mente e rompe ogni legame con la gente e con il mondo; distrugge la possibilità di creare contatti, costringe ad un isolamento forzato.

Il malato chiede disperatamente e confusionariamente che gli venga restituita la sua storia, la sua anima. Dobbiamo riuscire a scoprire la sua vita al di là della malattia.

Chi lavora accanto e intorno ad un malato demente sa bene che non c’è possibilità di comunicazione, perlomeno se si intende una comunicazione di tipo convenzionale. Si può conversare ma non comunicare.

Solitamente non siè abituati a comunicare se non con la parola, o comunque secondo criteri formali e logici; ma nel mondo dell’Alzheimer le parole non servono granchè perché sono sconnesse e non attendibili, non hanno nesso logico; allora bisogna osservare altri tipi di linguaggi: il linguaggio del corpo, il linguaggio delle emozioni, il linguaggio del non detto, è necessario osservare e cogliere i tratti e le espressioni del viso da cui possono ancora trasparire emozioni e indicazioni significative; gli atteggiamenti, i modi di fare, le frasi strane, in questo tipo di malato simboleggiano eventi.

Il malato di Alzheimer si esprime molto per metafore e simboli… allora bisogna imparare a decodificare metafore e simboli.

Occorre capire che per poter relazionare con il malato bisogna seguire le modalità che lui ci propone… scivolando sul suo terreno con flessibilità e semplicità. Stiamo attenti a non pretendere una relazione di scambio che non ci può offrire.

Senza questo sforzo ogni cura, ogni terapia, ogni ricerca, potrà forse alleviare i sintomi, ma non ci si sta prendendo cura della persona malata.

Bisogna fare in modo che questa persona scopra un senso e una ragione del proprio esistere, del proprio essere, in mezzo al buio e al caos che sommerge la sua vita. Rispondere a questo bisogno implica un sforzo e un atteggiamento di grande partecipazione accanto al malato, una grande empatie e una forte capacità di accogliere la sua sofferenza e i suoi bizzarri, estenuanti modi di agire. Se non ci si pone in questa direzione, non solo non lo aiutiamo, ma rischiamo di aggravare la sua già drammatica condizione di vita.

Tra i soggetti affetti da Alzheimer molti sono aggressivi e molto spesso buona parte di questa aggressività scaturisce da una cattiva relazione con chi si occupa di loro. In realtà, può sembrare strano, ma è il malato che vive in modo aggressivo il mondo che lo circonda, così pieno di stimoli, di parole, di gesti e di comportamenti che non riesce a capire e a cui non riesce a rispondere. Egli vive la gente attorno a lui in modo invasivo, confusionario, frammentario, i tentativi di aiuto delle persone che lo assistono vengono percepiti come imposizione, e accentuano così la sensazione di impotenza che già vive alla base, reagisce male e diventa a sua volta aggressivo. L’aggressività tipica di questo malato si traduce così in espressione della sua paura, del suo disagio, della sua non voglia di essere mortificato, colpevolizzato, valorizzato, invalidato, spesso anche deriso.

Ancora una volta l’imperativo deve essere: conoscere la persona, non solo la malattia! Occorre

capire, intuire, accogliere la sua sofferenza e i suoi disagi modulando le nostre risposte, i nostri interventi e la nostra vicinanza, di volta in volta, in relazione ai suoi bisogni che cambiano continuamente anche nell’arco della stessa giornata. Un grande sforzo di adeguamento dunque… e di morbilità.

Ogni giorno in ambulatorio mi trovavo di fronte mariti, mogli, figli che cercavano risposte e disperatamente chiedevano: perché?! Molti di loro avevano reazioni esasperate e talvolta preferivano “non capire”.

Dottoressa può non crederlo, ma è diventato “un bambino capriccioso”, è sempre “svanito”, “mi fa i dispetti per cattiveria”.

Il malato di Alzheimer è sbadato, dice bugie, colpevolizza i familiari, si smarrisce spesso anche dentro casa, dimentica cose appena dette o appena fatte, non riesce a gestirsi, parla in modo sconnesso, fa “mille sciocchezze” di continuo, ride e dopo qualche minuto può capitare che pianga… tutto senza motivo apparente… spesso non ha neanche l’aria sofferente.

Tutto questo ai familiari appare come una beffa, è un po’ come una morte apparente, c’è ma non c’è più.

Il malato si ritrova dentro un contesto totalmente disgregato, tutto il suo nucleo vitale si sconvolge, tutto attorno a lui diventa sfumato, buio, senza confini, senza logica, infinito.

Come si fa ad entrare in contatto e a comunicare con una persona che sta perdendo gradatamente la capacità di rapportarsi con il mondo esterno? Attraverso un’unica strada. Seguendo con approccio semplice, amorevole e comprensivo, le modalità che ci propone la persona malata, attraverso un flusso affettivo la cui direzione deve essere stabilita dal malato stesso, dalla sua storia, dalla sua vita.

Ogni vita di ogni malato è diversa l’una dall’altra perché ogni malato è diverso l’uno dall’altro.



L’ultima frase di senso compiuto che ricordo di aver sentito dire a Sergio Rossi è stata: “dottoressa lei non la vede questa signora con il vestito nero e la borsa nera in mano che mi rincorre dovunque”… vuole venire a prendermi!”

La signora in nero era la morte… Sergio Rossi era in preda ad allucinazioni… tutto il suo essere sprigionava angoscia!

“ Non c’è mai un giorno in cui sono tutto intero… sono sempre contro queste cose a cui mi devo adattare… non riesco mai a trovare nel momento giusto le entrate nel palcoscenico… non vedo chiaro come tutto il mondo… non ci vedo… non ci riesco… mi metto gli occhiali cento volte al giorno ma non vedo niente… ho la testa bacata… la mia testa è diventata rigida… prima andava piano piano… ora tutto è pesante… non riesco a respirare come dico io… il cuore mi sale a 12.000 giri e po improvvisamente mi scende a 4000 giri… e mi singhiozza… l’urina mi dà problemi d’acqua… è una situazione da prendere in giro… sento un crac che avviene in me velocemente e sto cascando… bello è questo esercizio che mi sta facendo fare ( la costruzione dell’albero genealogico) perché uno ce li ha tutti a portata di mano… li puoi toccare… mi si confonde la casa con troppa facilità… cerco di scaricare agli altri il meglio che si scarica in me… ma ancora le batterie non si sono scaricate tutte… quello che sceglie sua eccellenza là in alto… uno certe volte sorride e poi piange… ma com’è che è così? Penso sempre un pochino più indietro di quello che dovrei pensare… o forse un pochino più avanti… oggi mi sento sbloccato ma ancora non mi sono liberato da questo peso…

- dove lo sente questo peso?

- Nelle spalle…

Ci vorrebbe un integratore per mia moglie, la vedo molto in difficoltà… poverina… non sono riuscito a fare capire a me stesso che non sono capace di niente… com’è presa questa cosa ci farà vedere dei guai… a me chi mi aiuta ora… dobbiamo essere uniti noi… all’inizio per mezza nottata non è successo niente… poi all’improvviso è successo qualcosa… ho potuto capire che avevo un sacco di problemi… non sapevo da dove cominciare… mi sono trovato sudato e al buio… tutto contro di me… non posso litigare con nessuno perché se no sono perduto… mi piscio addosso dottoressa… se mi vuole dare un aiuto ci arrivo, da solo non ce la faccio… prima la cosa c’era ma non si sapeva, non si capiva… sparavo un sacco di minchiate e non capivo… mi disperavo perché non capivo… ora anche mi dispero e ancora non capisco… un mio amico a voce alta mi ha detto: quest’uomo non è normale, ma come si comporta?… mi ha tradito… io non gli ho fatto nulla di male… cosa ho fatto di tanto strano?… se solo me lo ricordassi… giusto?… e questo è il problema… un mio amico prima era uno preciso… poi l’ha saputo… abbiamo litigato… è caduto… ha cominciato ad urlare… ora mi hanno detto che è diventato pazzo… e se n’è andato poverino… tutti lo sanno che se n’è andato… ( sta cercando di descrivermi il suo percorso, la sua condizione)… vorrei dire il perché tutto per intero… se lo dico a metà non rende… ma lei mi segue dappertutto… io mi nascondo e lei mi trova… ora devo andare al supermercato… come se ne deve uscire uno da questa cosa… è una cosa infame… questo fardello… le cose della vita sono fatte così…non ti capita per 50 anni e poi ti capita…mi preoccupa mia moglie perché non è padrona… speriamo che finisca bene… noi stiamo aspettando non so che cosa… il gatto nero forse… quando vengo qua da lei sto bene… poi a casa c’è quella maledetta cosa… che non ci voleva… devo prendere la cosa al volo… mi capiterà ancora che non avrò più la lingua…perché prima non ero così… tutto è sotto sforzo ora… all’ora dei fatti si scopre che niente è vero… potrei operarmi… c’è qualcosa che cammina sotterraneo sotto la pelle… dovrei fare una curetta anche se non ne ho bisogno… ho fatto tutta la vita con me stesso e ora sto pagando per il mattone che mi è caduto addosso… mi devo adeguare a tutto…ai meccanici… come posso dire… per adeguarmi ci deve essere un’altra persona…anzi un’altra entità, che non penda tutta da un lato…ma la cosa è lunga…gira e gira… mi sento lontano…dove mi porta la testa?…lasciamo perdere…i più giovani sono perduti…ma quelli più grandi di me? Io sono perduto…si mettono tutti a guardarmi…mi devono dare una risposta…ogni giorno scado di qualità…credevo di avere imboccato la strada giusta e invece ancora niente…sono disperato perché non riesco a concludere un discorso…due più due fa quaranta no?… le cose evidenti che sanno tutti speriamo che arrivino anche a me…se c’è da prendere un treno al volo lei deve dirmelo perché io devo trovarmi lì… devo mettermi in una strada che sia buona… non capisco perché sono ancora con la vecchia mentalità che mi sta portando ad essere un disagiato… sono una cosa che non è una cosa… vorrei essere in ottimi ricordi con i miei amici… e invece sono in lista d’attesa…perché non devo cambiare di qualità? dove sono questi ostacoli…non è una cosa da niente, è una cosa pesante… stiamo parlando tanto ma se io non riesco a stringere che ci posso fare!…80.000 persone… chi ci cade nella storia?…io…80.000 persone è un numero importante…perché la cosa me l’hanno accollata a me?…solo io… preso così…rubato…perché vai a pescare proprio me…la signora in nero che viene a regolare i conti… con quale criterio viene a pescare proprio me… un dottore me l’aveva detto…vuoi vedere che è Alzheimer?…nella risonanza però non c’era scritto che da lì a un anno mi mettevano in mano la valigetta… la mia povera mamma e il mio povero papà…non abbiamo parlato mai quando ero tutto di un pezzo…ora li vorrei…ma ora sono senza voce…e loro si metterebbero a piangere…mio fratello mi guarda e piange…lui pensa che non me ne accorgo… forse se piango riesco a bloccare i miei pensieri…vorrei gridare in tutto questo silenzio…ma ci sono troppi rumori… e poi non mi esce la voce!…

Questo è quello che ha dentro un paziente di Alzheimer!

Questo è quello che trasmetteva Sergio Rossi durante i nostri incontri.

Ci vedevamo con sistematicità ed eravamo riusciti ad instaurare un rapporto affettivo e di fiducia… si fidava di me e dunque si permetta di abbandonarsi e di parlare anche a sproposito (cosa che non faceva a casa), sapendo non solo di non essere deriso né svalutato per quello che diceva o faceva, ma soprattutto sapeva, perchè capiva, di essere accettato e ascoltato…questo riusciva a capirlo!

Non tutti i malati di Alzheimer riescono a lasciarsi andare, non tutti possono permettersi di esternare e di “verbalizzare” le loro angosce, le loro sconnessioni, le loro paure, la loro disperazione.

Quando dopo un’ora di questo tipo di “comunicazione” Sergio Rossi andava via, era più sereno, più sorridente e meno ansioso; la moglie mi riferiva che a pranzo mangiava con più appetito, durante il pomeriggio era meno agitato e la notte riposava per un maggior numero di ore…

Semplicemente quel giorno non si era sentito solo!

Questo è quello che voglio gridare a gran voce a chi si trova a dover affrontare il penoso percorso accanto ad un malato di Alzheimer: semplicemente amateli! Non fateli sentire isolati dal resto del mondo; non togliete loro quelle briciole di dignità già tanto compromessa; non aggravate quel senso angosciante di disorientamento e di frantumazione che tende a fagocitarli; cercate di non mortificarli con frasi ovvie e scontate del tipo “ma che stai dicendo?” oppure “ma te l’ho appena detto, come puoi non ricordarti?”

Negli anni di lavoro, di vicinanza e di osservazione dei malati e delle loro vite, ci si è resi conto che vittima dell’Alzheimer non è solo il malato, ma tutti quanti stanno quotidianamente accanto a lui; è venuto da sé dunque preoccuparci di “prenderci cura” non solo del paziente ma anche dei suoi familiari. Occorre che i familiari capiscano che quanto più conoscono la malattia nelle sue più svariate sfaccettature, tanto più impareranno ad accettarla e tanto più saranno nelle condizioni migliori di saper stare accanto al proprio familiare. Occorre capire che l’accettazione dell’Alzheimer passa attraverso la comprensione che il loro familiare non è “capriccioso”, non è astioso e aggressivo perché è arrabbiato con loro, non è “svanito” perché vuole ricattarli o per attirare l’attenzione “come fanno i bambini”, non “fa i dispetti” perché è diventato cattivo… tutto questo si chiama Alzheimer!

Ho assistito per anni e ho toccato con mano la loro rabbia, la loro impotenza, la loro stanchezza, la loro incredulità, e abbiamo instancabilmente spiegato che al di là delle medicine, un atteggiamento e uno stato d’animo amorevole e positivo riesce a migliorare la qualità della vita del loro malato, riducendo nondimeno il loro livello di rabbia e di angoscia.

Quanto detto finora è venuto fuori nel tempo, dalla conoscenza sempre più approfondita non solo della malattia in sé, quanto delle persone malate e tutto quello che ho inteso esprimere non vuole essere diretto solo al malato.

Ritengo che una corretta presa di coscienza, un’adeguata informazione riguardo tutto ciò che occorre sapera, non migliora solo la vita del malato, ma contribuisce ad apportare ai familiari una maggiore serenità e un senso di non disperazione.

Bisogna che imparino a capire che il rapporto con il loro malato non finisce, non si è interrotto, ma si deve modificare.

Bisogna ristrutturare il sistema emozionale all’interno del nucleo familiare; le dinamiche emotive in relazione al malato devono passare attraverso una percezione emotiva diversa rispetto alla fase precedente della malattia.

Bisogna scivolare sul terreno dell’intuizione, della sensibilità, della delicatezza dei modi e delle parole, bisogna guardare al familiare malato con occhi diversi… qualcosa arriverà.

Non ci si può aspettare né pretendere lo stesso tipo di relazione che c’era prima della malattia e dunque è necessario adottare criteri diversi che passino attraverso una rimodulazione degli equilibri preesistenti; tali criteri devono sgorgare dall’intelligenza e dall’amorevolezza di chi si occupa di questo tipo di malato.

Quando un nucleo familiare viene invaso da questa malattia, automaticamente l’intero gruppo-famiglia viene travolto, disgregato e disorientato. Si parla di invasione del nucleo per intero perché è proprio questo quello che succede. Tutti i rapporti e gli equilibri preesistenti fino alla fase precedente la malattia saltano, a causa della bizzarra sintomatologia che caratterizza la malattia stessa. Sorge urgentemente dunque la necessità di ristrutturare tali meccanismi, i ruoli, le relazioni all’interno del nucleo familiare. Sorge il bisogno da parte dei familiari di condividere pensieri, stati d’animo, ansie e angosce; di uscire dal baratro dell’isolamento e di capire… lo sgomento che assale i familiari dei pazienti è per così dire “giustificato” dalla complessità e dalla moltitudine dei sintomi che fanno parte di una sintomatologia purtroppo non ancora ben conosciuta e non riconosciuta come meriterebbe.

La risposta a tutto questo è il gruppo.

Nei centri UVA solitamente gli psicologi si occupano di gestire i gruppi di sostegno per i familiari che si incontrano tra loro e con i terapeuti; si viene a creare un’armoniosa sinergia che sorregge e contiene la sofferenza di ognuno di loro.

Ricordo la moglie di un paziente che raccontava: mi sento disperata, non riesco a capire cosa significa tutto questo, sembrava una comune depressione, invece via via si è chiuso sempre più… e ora non riesce più a farsi capire né a capire cosa diciamo quando parliamo con lui… è convinto che rubiamo le sue cose, ride a sproposito e piange senza motivo… fa la pipì dappertutto…

Ancora la figlia di una paziente: mia madre non ricorda più nulla, si chiude in casa e non ricorda dove ha nascosto la chiave, mi chiama con il nome di sua madre e dice di essere una mia amica…

O un marito: mia moglie stava benissimo, ha cominciato solo ad avere qualche problema alla vista e qualche lieve sbalzo d’umore… un medico diceva che forse erano disagi dovuti alla menopausa… dopo qualche tempo ha versato sulla carne il detersivo per la biancheria al posto dell’olio… ora non so più cosa fare e da che parte cominciare… ma che mostro è questo Alzheimer?

Il pianto, lo scoramento e il disorientamento che accompagnano queste espressioni ci dà veramente la dimensione di quello che attraversa una famiglia in cui vive un malato di Alzheimer.

La figlia di un altro paziente raccontava: … non vivo più… non ho più tempo per me stessa né per i miei figli e per mio marito… la mia vita è uno sfacelo totale…

Nei gruppi di solito aleggia un’atmosfera di sofferenza ma di calda partecipazione. Ogni familiare trasmette agli altri le proprie esperienze emozionali, tutti riconoscono tutti, si ascoltano e si accettano a vicenda…escono per qualche ora dalla loro angosciosa solitudine. La partecipazione emotiva e l’empatia che in genere caratterizzano i gruppi, il senso di appartenenza e la conseguente accettazione reciproca, leniscono pian piano quel senso di solitudine avviluppante che imprigionava tutti loro prima di iniziare il percorso terapeutico. Nel gruppo i familiari trovano un potente contenitore che permette loro di “vomitare” i propri terrori, i propri fantasmi, le paranoie e i molteplici interrogativi. Attraverso il meccanismo della condivisione i familiari si trovano nella condizione di trasmettersi l’un l’altro tutto quello che al di fuori di quel momento non possono permettersi; il gruppo diventa così un caldo contenitore in cui ogni familiare dà libero sfogo ai propri vissuti emotivi. Parallelamente inoltre questi familiari vengono informati dettagliatamente su tutto quello che c’è da sapere riguardo alle diverse fasi della malattia, sui sintomi che la caratterizzano e sui comportamenti che è bene seguire. Di solito si riscontra che coloro che partecipano agli incontri di gruppo hanno sicuramente ridotto il proprio livello di stress, rispetto a chi non ha partecipato; che le loro sofferenze si sono di gran lunga attenuate e che hanno imparato ad uscire dal guscio dell’isolamento perché hanno imparato a condividere e ad esternare il proprio malessere.

In ultimo, aspetto non meno importante, si può dire con certezza che il loro caro affetto dalla malattia, è senz’altro meglio accudito, con più amorevolezza e con meno rabbia, avendo i familiari fatto propri comportamenti e modi di porsi sicuramente più adeguati.

Ricordiamo sempre: il malato di Alzheimer è fondamentalmente una persona che chiede di essere accompagnata con amore, con rispetto e con dignità.

NON DIMENTICHIAMOLO…!

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