PRIMA DI APRIRE LA BOCCA ASSICURARSI CHE IL CERVELLO SIA INSERITO

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Sono una psicologa siracusana e provo una grande passione nel trasmettere il mio pensiero e le mie conoscenze

lunedì 21 settembre 2009

COMUNICAZIONE COMPUTERIZZATA. di Francesca Cianci

Sempre più frequentemente nella mia pratica professionale m’imbatto in quelle che nel tempo ho definito “patologie da computer”. Disagi, equivoci, malintesi, rapporti fittizi e alterati che passano attraverso un linguaggio meccanico, asettico, standardizzato… un linguaggio che esclude i sorrisi, la mimica facciale, la gestualità, gli sguardi, elementi tanto potenti e fondamentali nello scambio interpersonale e nelle relazioni in genere, specie per quanto riguarda gli approcci iniziali.
Da quando è esplosa questa modalità di intrattenere relazioni attraverso chat, facebook, messenger e quant’altro, ho avvertito da subito il fastidio legato ad un tipo di comunicazione che ritengo disfunzionale in relazione a quanto gli individui hanno in genere bisogno di esprimere a livello di interscambio, anche e soprattutto emozionale. Credo che tali modalità espressive corrispondenti ad un linguaggio metallico, abbreviato, non esattamente empatico, non aderiscano ad una dimensione naturale e spontanea propria dell’animo umano. I TVB, i KE, i simboli di faccine tristi o allegre, gli sms bulimici, hanno alimentato una forma di comunicazione che propone modelli relazionali lontani anni luce dalle normali e sane relazioni nate sulla base di affinità reali e interessi comuni tangibili. Qualche amico mi rimprovera di essere troppo nostalgica e poco aperta ai cambiamenti e alle innovazioni tecnologiche. Sono convinta invece che il mondo gestito dalla computerizzazione, secondo tali modalità, sia fonte di disagi e di disfunzioni caratterizzate peraltro dall’uso eccessivo di strumenti che conducono a vere forme di dipendenza. Quello che si trasmette attraverso il computer è solo una parte, e spesso neanche la più vera, di ciò che siamo; viene saltato un passaggio che è essenziale, quello dell’immediatezza, delle sensazioni a pelle, di un certo tipo d’intuito che si estrinseca in relazione al guardare, al sentire, al percepire l’espressività, il tono e l’inflessione della voce, gli atteggiamenti, le posture, e se vogliamo anche gli odori.
Ogni giorno assisto alla delusione, all’amarezza e alle frustrazioni conseguenti a finali di “rapporti” nati via chat, attraverso una fotografia e un profilo… quando ci si incontra, dopo mesi e mesi di “scambi” all’interno dei quali si è creduto di conoscersi, alimentando aspettative non del tutto aderenti alla realtà, ci si trova al cospetto di persone assolutamente sconosciute. Tutto questo mette in discussione le proprie percezioni disorientandole, destabilizza la propria dimensione emozionale e rischia spesso di far perdere il controllo di se stessi.
Altro rischio è la dipendenza da uno strumento che si spinge parecchio oltre l’essere utile o anche solo necessario. Il bisogno di “contatto” oggi è particolarmente intenso, è compulsivo, non importa se non si ha granchè da dirsi, l’importante è essere sulla stessa lunghezza d’onda. Questo bisogno indica una necessità spasmodica di appartenenza, di complicità continua, a tratti di fuga dai contesti reali. Da sempre gli adolescenti hanno espresso questo bisogno, però è importante che i giovani sfoderino le loro potenzialità al fine di soddisfare tale bisogno mettendosi alla prova nei contatti all’interno del reale. Oggi invece i contatti arrivano fin dentro casa anche se tu non li ricerchi, devi solo accettarli o meno, ammaccando semplicemente un tasto. Lo scambio emotivo e relazionale così non è stato scelto in base alle intuizioni, alle percezioni e alle energie che bisogna tirare fuori per iniziare i rapporti e formare i gruppi. Saltando queste fondamentali tappe il rischio è quello di annullare alcune fasi indispensabili nello sviluppo psichico dei giovani in crescita e questo può portare ad un’emotività fin troppo facile da cambiare e scambiare incondizionatamente. Cosa si stanzia di se stessi, mentre si ammacca un tasto, comodamente, ben protetto dalle mura di una stanzetta? Quali energie si mettono a disposizione dell’interlocutore, dietro uno schermo? Le chiacchiere facili, spesso senza sufficiente motivazione, indipendentemente dai contenuti, costringono a contatti spesso vacui, banali, mediocri, apatici, non motivati da alcunché. Una facile protezione e una copertura a portata di mano in relazione alla noia o a qualsiasi tipo di disagio emotivo. Certamente il computer è uno strumento che facilita e agevola scambi di ogni genere, ma nel contempo serpeggia subdolamente uno svilimento delle potenzialità in relazione alle risorse umane, intese nel senso più genuino del termine; gli individui finiscono per ritrovarsi dipendenti da chi non conoscono e fondamentalmente lontani da se stessi, imprigionati dentro una stanza, senza neanche la necessità di vestirsi per mostrarsi. E’ una dimensione “autistica” che può sfociare a volte anche in forme depressive o disagi d’altro genere.
Infine spesso computer e cellulari diventano oggetti su cui vomitare diffidenza, sospettosità, insicurezze e paranoie. Madri e padri che frugano all’interno dei cellulari e dei computer dei figli nella speranza di controllarli; mogli che cercano spasmodicamente tracce di possibili tradimenti attraverso ricerche sul computer dei propri mariti… viene alimentata così quasi automaticamente una forma di invadenza e di invasione nei territori di chi ci stà accanto con un’inevitabile mancanza di rispetto che alimenta comportamenti sconsiderati.In definitiva i rapporti diventano più complicati, meno spontanei, più sospettosi, si creano cordoni ombellicali virtuali che spesso si frantumano bruscamente davanti all’evidenza dell’inconsistenza. Sono semplicemente aspetti ed effetti collaterali dell’avanzamento tecnologico? Credo sia doveroso chiederselo!

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