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lunedì 12 ottobre 2009

Quando il precariato diventa malattia sociale. di Francesca Cianci

IN PIAZZA LA RABBIA DEI PRECARI: QUANDO IL PRECARIATO DIVENTA MALATTIA PSICOSOCIALE.

Operai, medici, ingegneri, geometri, infermieri, ricercatori, docenti… non esistono oggi categorie prioritarie nei confronti del precariato, tranne forse quelle figure che precarie lo sono state sempre, indipendentemente dalle crisi sociali e finanziarie più o meno drammatiche( sociologi, psicologi, antropologi, pedagogisti,…) per l’atavica difficoltà d’inserimento in contesti o in organici che in Italia non hanno mai avuto grande espressione da un punto di vista lavorativo.

I tagli alla sanità sono ormai devastanti, i servizi sono tutti più o meno massacrati, le strutture sociali in molte zone, specie al sud, stanno quasi sparendo anche per assenza di personale, per gli accertamenti sanitari si aspettano anni.

I precari attuali, è ormai ampiamente accertato, soffrono quasi tutti di ansie, insicurezze, frustrazioni e forme depressive con somatizzazione. Gli studenti universitari si avviano verso queste forme di disturbi, ben consci dell’incertezza del futuro che li aspetta. I giovani che preferiscono lavorare anzicchè studiare, sono anch’essi a rischio, per la nota realtà di disoccupazione in cui sono immersi… stipendi da fame, qualifiche incerte, competenze confuse rispetto ai ruoli, impossibilità di programmazione del proprio futuro, professioni instabili… Tutto questo provoca conseguenze davvero devastanti e sempre più diffuse sulla salute del corpo e della mente.

Come si può pretendere una serenità di fondo o un equilibrio esistenziale quando non si può accedere ad un mutuo, quando non si può pagare una casa d’affitto, quando non si può comprare un’automobile neanche a rate, quando non ci si può permettere un’assistenza sanitaria adeguata che salvaguardi noi stessi e i nostri figli?!

Peraltro sia la dimensione del lavoro flessibile, con i suoi tempi elastici, sia un sistema lavorativo organizzato secondo orari rigidi, sono entrambe condizioni che inevitabilmente generano fenomeni stressogeni. E’ accertato che la realizzazione di se stessi passa attraverso la dimensione lavorativa che di conseguenza contribuisce a creare un’identità più o meno stabile ed equilibrata. Il senso di oppressione e di ansia causati da un lavoro precario possono condurre, per esempio, ad una forma di isolamento con conseguenze di ulteriore riduzione delle possibilità relazionali e lavorative. Se ci si sente scoraggiati e con una prospettiva di domani incerto, si tende a mettere in discussione le proprie capacità generiche, con conseguenti sensi di colpa per i propri insuccessi lavorativi( autosvalutazione e autodisistima). Ancora, il continuo passaggio da un lavoro ad un altro, o da un ruolo ad un altro, tende a destabilizzare il proprio equilibrio, con la conseguente messa in discussione delle proprie competenze. L’irregolarità e i ritardi dei pagamenti generano ansia con possibile somatizzazione, a causa dell’impossibilità di pianificare la propria vita nel lungo tempo. Scarsi riconoscimenti di merito( laureati che lavorano nei call center…), perdita di motivazione, specie per chi è qualificato, dotato di buone competenze e potenzialmente dunque una buona risorsa… anche questo genera frustrazione e malessere. Di contro si aggiunge che ai precari, giovani e inesperti, vengono spesso affidate mansioni rischiose senza formazione adeguata o il necessario tutoraggio.

Questo e altro ancora comporta un’enorme fatica emotiva e notevoli presupposti per una disfunzionalità a livello relazionale. Il precariato oggi è una delle cause più diffuse di malessere sociale e di patologie più o meno importanti. Oggi si assiste alla curiosa paradossale situazione che la gente si ritrova più preoccupata di trovare o mantenere un posto di lavoro piuttosto che di tutelare la propria salute. Tra le corsie di ospedale si assiste sempre più ad un paradosso: i pazienti, lavoratori precari, malati, sono “curati” da sanitari altrettanto precari, stressati, instabili.

La vita del precario ha assunto oggi la forma di una vera e propria identità e si intravede il serio rischio che, continuando in tal senso, le personalità possano “corrodersi”. I giovani sono intrappolati in questo limbo. Anche le coppie, in questo contesto e a queste condizioni, diventano sempre più a rischio e spesso vanno in frantumi a causa di tutto quanto appena detto.

I rischi più diffusi sono: l’angoscia che, se protratta per lungo tempo, può sfociare in depressione; lo sconvolgimento dei ritmi biologici e del sonno può creare nel tempo problemi cardiovascolari e ipertensione.

Potrei continuare a lungo ma rischierei di essere eccessivamente prolissa. In definitiva certo è che questo stato di cose sta devastando le persone, le famiglie, i figli, gli adolescenti, gli universitari, i disoccupati, il paese intero… Che lo Stato se ne faccia carico!… ma avere quest’aspettativa può diventare oggi causa di ulteriore frustrazione!

Francesca Cianci

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